L’Italia campione di bowling raccontata dal suo ct, Massimo Brandolini
L’Italia del bowling è bella perché sogna di vincere e vince. E vincere è bello perché ti permette di raccontare lo sport, i movimenti, quelli meno conosciuti che hanno proprio bisogno dei trionfi per far parlare di sé, per avvicinare gente nuova. In due parole: per crescere. E se oggi scriviamo “campioni del mondo” su Google – non proprio una ricerca aperta alle discipline più piccole, una “query” che parla di calcio di solito – esce chiaro che la gente, in Italia, oggi, sta cercando “Campioni del mondo bowling”.
Erik Davolio da Reggio Emilia, Pier Paolo De Filippi da Roma, Antonino Fiorentino da Potenza, Marco Parapini da Milano, Nicola Pongolini da Salsomaggiore, Marco Reviglio da Torino, guidati dal commissario tecnico Massimo Brandolini. Sono loro i campioni del mondo di bowling. Sono loro i non-professionisti che, ad Hong Kong, hanno battuto in finale gliStati Uniti. Sono loro che hanno portato l’Italia sul tetto del pianeta in uno degli sport più praticati al mondo, per divertimento, e a tutte le età, che in Italia conta 3500 tesseratima milioni di giocatori.
E se le imprese nascono ben prima di alzare le braccia al cielo, è vero che questo trionfo arriva prima di tutto dalla semifinale dove gli azzurri hanno avuto la meglio sul fortissimo Canada 2-1 per poi mangiarsi l’America con un secco 2-0 (189-169 e 210-166). Il tutto al termine di un girone iniziale sicuramente non semplice: 47 squadre iscritte e tanti, tanti birilli da abbattere.
In passato? Un bronzo al torneo iridato nel 1971 a Milwaukee. “Mi sono avvicinato al bowling in tarda età, a 26 anni – mi ha detto il ct Massimo Brandolini, bancario di Milano, raggiunto telefonicamente – perché mia cugina aveva un fidanzato americano con il quale ho iniziato a giocare. Mi piaceva tutto, il gesto, l’ambiente, tutto. E dopo 30 anni da giocatore, questo è un sogno che si realizza. In un giocatore che arriva a questi livelli, la tecnica la si deve per forza dare per scontata, altrimenti non si va ad un mondiale. E la forma fisica conta al 20% mentre all’80% conta la testa, la forza mentale. Gli americani hanno sbagliato qualcosina e noi, assolutamente, non li abbiamo perdonati. Per ora, siamo ancora dentro il sogno, non ci stiamo rendendo conto anche se ci dicono che, sì, è tutto vero! Tra di noi, ci sono tanti profili, dal panettiere, che fa il pane dalle 2 alle 6 e si allena di pomeriggio con “pane doppio” nel week end dedicato a gare e qualifiche. C’è chi ha un’impresa edile, chi fa l’amministratore di condominio: godiamoci questo momento per la storia del bowling italiano”.
E se la ricerca su Google viaggia parecchio, i social raccontano l’impresa dagli occhi di chi lo ha saputo dai media. Non manca chi prende la palla al balzo per fare satira – Twitter è così, ogni scusa è buona – e paragona l’impresa azzurra alla capacità nazionale di mentire: “ITALIA campione del mondo nel bowling. A sparare palle ce ne intendiamo. #bowling”. Oppure, ancora, c’è chi prende in contropiede – è il caso di dirlo – i sostenitori della tesi che i calciatori siano pagati per non vincere: “Complimenti ai nostri! Ehm….L’hanno già scritta la minchiata che non sono pagati come i calciatori ecc. ecc. ? #bowling”. C’è chi simpaticamente si ricorda che non solo Fonzie giocava a bowling: “Solo perché non abbiamo incontrato Fred Flintstone #bowling”.
Il tutto condito con una chicca di non-social, un ct iscritto a Twitter nel 2013, che ha 18 follower e non scrive un tweet… dal 2013: “Non sono un grande frequentatore di social. Non ricordo neanche la password” spiega ridendo Brandolini. E infine ci sono le storie che riaffiorano: come quella di Mario Piacentini, vicepresidente della Federazione sport bowling scomparso e citato da Roberto Licari, giocatore siciliano: “Caro Mario, mio amico, maestro e mentore, oggi sarebbe stato uno dei giorni più belli della tua vita. Ti penso sempre”. Un gioco di squadra, al di là di quel che si possa pensare: l’oro a squadre lo vinci solo se ad ogni buon tiro ne segue un altro altrettanto buono. Se tutti sono concentrati alla stessa maniera, se si crea un gruppo ricco di alchimia. Se si tira tutti insieme.